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Quattro nomi contro l'oblio

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IC Ennio Morricone
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IC Ennio Morricone

Torino, inverno 1944. Nel quartiere operaio della Barriera di Milano, la guerra ha il volto della paura: arresti improvvisi, fabbriche in sciopero, silenzi carichi di presagi. Mauro Finiguerra, ex operaio, viene catturato dalle SS e deportato a Mauthausen. Ma nel caos di un sabotaggio lungo il tragitto per Gusen, riesce miracolosamente a fuggire.

Tornato clandestinamente a Torino, si rifugia in una soffitta sopra una vecchia bottega. Qui lo ritrovano tre compagni del passato: Giovanni Vittone, Luigi Fabbris e Michele Tabor, anche loro fuggiti, nascosti, trasformati dalla lotta antifascista. Insieme formano una cellula della Resistenza. Stampano volantini, salvano ebrei, sabotano i nazisti. Lottano per un futuro che non sono sicuri di vedere.

Ma la libertà ha un prezzo. Durante una missione, il gruppo cade in un’imboscata. Mauro è l’unico a sopravvivere, ma perde tutto. Dopo la guerra, il suo destino resta un mistero. Solo nel 2024, davanti alla bottega di corso Vercelli 191, quattro pietre d’inciampo raccontano la loro storia.

"Qui vissero. Qui resistettero. Qui restano."
Una storia di memoria, coraggio e scelta, nell’Italia ferita ma viva della Resistenza.

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Barriera di Milano, Torino – inverno del 1944

C’era una luce grigia su corso Vercelli, quel tipo di cielo che sembrava caricare l’aria di presagi. Il freddo tagliava la pelle e le saracinesche dei negozi erano abbassate come occhi chiusi per non vedere più nulla. Mauro Finiguerra camminava svelto, il bavero del cappotto rialzato, il volto scavato da mesi di paura. Da giorni si vociferava di arresti, di uomini portati via senza una parola, senza un saluto. Lui sapeva che il suo nome era finito in una lista. Era solo questione di tempo. Il 13 marzo 1944, le SS lo presero. Lo aspettavano sotto casa. Gli misero le manette senza che lui opponesse resistenza, lo spinsero dentro un camion grigio e sparirono.

Campo di Mauthausen – poche settimane dopo

Le baracche di legno puzzavano di morte. Mauro aveva smesso di contare i giorni. Aveva freddo sempre, anche nei sogni. Una notte, durante il trasferimento verso il sottocampo di Gusen, il treno si fermò bruscamente nei pressi di un ponte ferroviario. Fu lì che accadde. Un’esplosione squarciò l’aria, facendo deragliare due vagoni. La resistenza tedesca aveva colpito. Nel caos, Mauro non pensò, ma agì. Si gettò fuori da una fessura del carro bestiame, rotolò tra i sassi e corse. Corse come non aveva mai corso in vita sua. Riuscì a fuggire.

Primavera 1944 – ritorno a Torino

Barriera di Milano era cambiata. Più silenziosa, più diffidente. Mauro si nascose in una soffitta sopra la bottega di un vecchio amico. Nessuno sapeva che era tornato. Nemmeno la sua famiglia. Usciva solo di notte, ascoltava le voci nei vicoli, i passi delle pattuglie tedesche. Era un fantasma nella sua stessa città.

Barriera di Milano - qualche mese prima

Giovanni Vittone era odiato dai fascisti perché il suo nome era comparso molte volte nelle denunce depositate sul tavolo del prefetto nei giorni degli scioperi del marzo 1944. Giovanni, Luigi e Michele si conoscevano perché lavoravano nella stessa fabbrica. Ogni giorno ricevevano notizie di catture, botte, deportazioni. Molti non si vedevano più: sembravano scomparsi e non si sapeva che fine avessero fatto; tra questi un certo Mauro, con cui qualche volta avevano scambiato qualche parola durante la pausa pranzo. Era tempo di fuggire da quella città pericolosa in cui si rischiava la vita. Giovanni decise di scappare, di notte, alla ricerca della libertà. Quella notte Luigi lo seguì, mentre Michele se ne era già andato. Come Giovanni, anche Luigi Fabbris non aveva paura: il desiderio di vivere e la speranza di un futuro migliore li rassicurava. Michele Tabor non sopportava sentir parlare tedesco perché quella lingua faceva a pugni con i ricordi di quando era piccolo: il tempo in cui poteva sentirsi libero di non dover sottostare agli ordini e libero di non vedere la gente morire. Decise così di aderire agli scioperi contro il regime. Un pomeriggio, però, vide una donna parlare con degli uomini in divisa poco distante dal portone di casa sua e sentì distintamente il suo nome. Prese la decisione di scappare con sua moglie fino ai confini del paese, verso le montagne, dove si erano rifugiati tanti ribelli che gli avrebbero concesso ospitalità. Fu là che incontrò chi aveva rifiutato la divisa e chi provava il suo stesso odio nei confronti dell’oppressione e, tra questi, proprio i vecchi amici delle settimane più dure. Nei giorni seguenti, iniziarono a girare strane voci di un uomo, un operaio, uno scioperante come loro, che era riuscito a tornare a Torino, in Barriera, da uno di quei viaggi senza ritorno, che ormai erano così frequenti. Michele, Luigi e Giovanni, che conoscevano il quartiere, si misero a cercarlo nei vicoli più stretti e bui. Lo avvistarono, lo seguirono fino alla sua dimora: una vecchia soffitta sopra una bottega. Sgattaiolarono dentro al portone senza che lui se accorgesse e bussarono alla porta della soffitta.

Di nuovo primavera 1944

Un giorno bussarono alla porta, ma non erano i fascisti. Erano Luigi Fabbris, Michele Tabor e Giovanni Vittone, tre uomini della Resistenza torinese, operativi proprio nella Barriera di Milano. Erano clandestini come lui, ma determinati. Avevano saputo che Mauro era tornato. Lo volevano con loro. Si diceva che Hitler fosse stato deposto. Una parte dell’esercito tedesco si era ribellata, stanca di una guerra inutile. Il fronte stava crollando, ma Torino era ancora sotto controllo. La libertà non si era ancora fatta vedere. Eppure, nei quartieri popolari, la rivolta cresceva. Mauro scelse.

Estate 1944 – la ribellione

Mauro, Luigi, Giovanni e Michele formarono una cellula indipendente. Non solo sabotaggi: cominciarono a proteggere famiglie ebree nascoste nelle cantine, a trafugare cibo per i rifugiati, a stampare giornali clandestini con una piccola macchina da scrivere rubata a una sede fascista. Luigi era silenzioso, riflessivo. Veniva dal mondo operaio. Era lui a pensare ai piani e alle strategie. Giovanni e Michele, invece, erano le anime ardenti del gruppo: uomini di parola rapida e mano decisa. Mauro era la memoria: ricordava i visi, i luoghi, le storie, e li proteggeva tutti.

Autunno 1944 – la scelta

Un giorno, durante una missione per liberare due prigionieri dalla caserma di via Cigna, le cose andarono storte. Una soffiata. I fascisti arrivarono. Giovanni Vittone fu catturato. Luigi Fabbris si rifiutò di abbandonarlo e venne preso anche lui. Michele Tabor tentò di avvisare dei rinforzi, ma venne fermato da uno squadrista fascista più rapido nelle gambe. Mauro riuscì a fuggire. Ancora una volta. Ma qualcosa si spezzò dentro. Dopo la guerra – memoria viva Luigi Fabbris, Michele Tabor e Giovanni Vittone morirono deportati, come tanti altri. Mauro non fu mai più visto. Alcuni dissero che era fuggito in Francia, altri che avesse cambiato nome e fosse vissuto nascosto fino alla vecchiaia. Nel 2024, sul marciapiede davanti a corso Vercelli 191, dove si trovava la soffitta sopra la bottega, quattro pietre vennero incastonate. Una per Mauro Finiguerra, una per Luigi Fabbris, una per Giovanni Vittone e una per Michele Tabor. Non per celebrare la morte, ma per raccontare chi aveva scelto di vivere, anche nella notte più buia. “Qui vissero. Qui resistettero. Qui restano.”