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Costruire il futuro: il percorso del personale femminile nei primi 80 anni della Banca Popolare di Milano

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Quando la presenza femminile in banca era ancora rara, la Banca Popolare di Milano compì una scelta pionieristica introducendo, in via sperimentale, alcune “signorine” diurniste. La proposta, accolta con favore, portò all’assunzione della prima impiegata con incarico da dattilografa e contratto stabile. Con il crescere del numero di lavoratrici, l’Istituto approvò il primo regolamento dedicato al personale femminile, riconoscendone il valore professionale e avviando un percorso di tutela e valorizzazione.

Costruire il futuro: il percorso del personale femminile nei primi 80 anni
della Banca Popolare di Milano

In un'epoca in cui la presenza femminile negli uffici bancari era tutt'altro che consueta, la
Banca Popolare di Milano compì una scelta lungimirante e controcorrente, decidendo
consapevolmente di infrangere le convenzioni del tempo. Ciò che inizialmente nacque
come una sperimentazione si rivelò presto una decisione strategica e innovativa di valore,
fondata sul riconoscimento del talento e della professionalità femminile. La presenza delle
donne si affermò presto come risorsa imprescindibile, capace di apportare competenza,
dedizione e serietà alla vita di Istituto.
Una visione anticipatrice, quella della Banca Popolare di Milano, che tracciò il percorso
verso un modello di crescita fondata su autonomia, equità e pari opportunità, in continua
evoluzione ancora oggi.


Fondata da Luigi Luzzatti nel 1865, la Banca avviò le proprie attività con un cassiere e un
piccolo numero di impiegati. Fino a tutta la prima decade del Novecento, il personale
rimase esclusivamente maschile. Tuttavia, l’aumento del lavoro nel settore terziario e
l’introduzione di nuove tecnologie, come la macchina da scrivere e il telefono, spinsero
l’Istituto a valutare nuove prospettive, con uno sguardo volto al cambiamento.


Durante la seduta del 13 febbraio 1911, il presidente Carlo Ottavio Cornaggia comunicò
al Consiglio di Amministrazione la proposta del direttore generale Polidoro Redaelli di
assumere, in via sperimentale, alcune “signorine”1 diurniste. Il termine “signorina”, in
quell’epoca, aveva un’accezione neutro-formale e veniva comunemente utilizzato in
ambito impiegatizio e amministrativo per indicare giovani donne non sposate.


La proposta, ispirata anche a esperienze già attive in altri istituti bancari, suscitò
immediatamente parere favorevole. Non si trattava solo di una soluzione funzionale e
vantaggiosa dal punto di vista economico, ma di un vero e proprio riconoscimento delle
capacità professionali femminili. Il Consiglio approvò all’unanimità l’iniziativa, chiedendo
la redazione di un progetto dettagliato sulle mansioni previste e sull’organizzazione degli
spazi dedicati a questa nuova figura professionale.


Nel maggio dello stesso anno, l’Ispettorato del Personale redasse un’approfondita
relazione intitolata “Intorno all’assunzione di Signorine per determinati lavori contabili”,
che valutava con attenzione vantaggi e svantaggi dell’inserimento del personale
femminile. Le conclusioni, seppur caute, risultavano chiaramente favorevoli.


Nel febbraio del 1912, l’innovazione si concretizzò con l’assunzione della prima impiegata.
Diplomata alla Scuola Tecnico-Letteraria Femminile di Milano, entrò in servizio come
dattilografa e mantenne l’incarico per quattordici anni. Un ingresso e un percorso
significativo, che posero le basi di un cambiamento tanto per la Banca, quanto per la
società dell'epoca.


Negli anni Venti, il contributo femminile assunse un ruolo sempre più rilevante, da dodici
divennero ben presto cinquanta, con la fine decennio. La Banca, consapevole della
1 Verbale del Consiglio di amministrazione, 13 febbraio 1911
trasformazione in atto, avviò un processo di regolamentazione per valorizzare e tutelare le
sue lavoratrici: le donne non erano più solo considerate manodopera ausiliaria, ma forza
lavoro stabile che necessitava di valorizzazione e formazione continua.


Dopo un confronto con altri istituti e alcune revisioni del testo, il primo regolamento per il
personale femminile venne approvato nella seduta del 18 aprile 1923, con modifiche
volute dall’allora presidente Filippo Meda.


Le “signorine” provenivano spesso da famiglie della piccola borghesia, con esperienze
lavorative in piccole e medie imprese o in ambito pedagogico, spinte dal desiderio di
affermarsi professionalmente e migliorare la propria condizione economica. Prima
dell’assunzione, la Banca prestava particolare attenzione al profilo personale e familiare
delle candidate, valorizzandone moralità e integrità.


In genere, le candidate venivano assunte tra i diciotto e i ventidue anni. La formazione
era prevalentemente tecnica o magistrale: il titolo di studio permetteva l’inserimento in
organico e la crescita professionale. Dopo un anno di prova da apprendista, potevano
ottenere la qualifica di “applicata”, mentre nei casi di particolare merito il contratto
stabile poteva arrivare anche prima.


Nel dicembre del 1925, il Consiglio deliberò il riconoscimento di una mensilità
supplementare accanto a una tredicesima già prevista e al cosiddetto "caro-viveri base”.
Un segnale tangibile di riconoscimento, che contribuiva a rendere il lavoro femminile non
solo accessibile, ma anche dignitoso e sostenibile.


La crisi economica degli anni successivi impose misure di contenimento che colpirono in
particolare le donne, entrate più tardi nel mondo del lavoro. Tuttavia, proprio in quegli
anni difficili, l'Istituto si impegnò per custodire la memoria e il valore del primo ingresso
femminile. Nel 1929, durante l’Assemblea dei soci, tra i dipendenti che avevano lasciato il
servizio l’anno precedente, si citò proprio la prima "signorina" assunta, ricordata come la
prima donna entrata all'Istituto. L'episodio documentò la presa di posizione rivoluzionaria
del tempo e la consapevolezza che implicava il riconoscimento di una svolta.


Durante la Seconda Guerra Mondiale la presenza femminile crebbe nuovamente: molte
donne vennero assunte per sostituire i mariti chiamati al fronte. Nel 1945 le dipendenti
erano circa centocinquanta e, da lì in poi, il numero fu destinato a crescere, anche grazie
alle grandi conquiste civili, sociali e lavorative del dopoguerra.


La scelta della Banca Popolare di Milano di aprire alle donne non fu soltanto una svolta
organizzativa, ma un atto di responsabilità sociale, destinato a incidere sulla cultura del
lavoro e a contribuire all’affermazione del principio di uguaglianza. Fu l’inizio di un
percorso che accompagnò – e in parte anticipò – l’evoluzione della società italiana verso
una maggiore parità di genere. Un’eredità preziosa, radicata nella storia della Banca e
ancora oggi viva nel suo impegno quotidiano.