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Racconti “al bivio”… di Reggio Calabria.

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Scuola primaria Nosside Pythagoras Moscato
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Scuola primaria Nosside Pythagoras Moscato

Project work corale a tappe, tra storia, mito e fantasia, che a partire dagli antichi greci, giunge all’ arrivo dei garibaldini nella nostra città, passa per lo scenario del terremoto del 1908, per approdare in un limpido e cristallino mare, dove si pratica la pesca del pescespada e dove sono stati ritrovati i Bronzi di Riace; un mare che osserva da vicino la processione della Madonna della Consolazione e osserva la gente fare affari. Tra documenti originali e falsi storici scorre la storia della nostra città in una raccolta di racconti.

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Liberamente ispirato ai documenti dell’Archivio di Stato della città di Reggio Calabria, al fine di raccontare, a più mani, “futuri possibili” a partire da radici storiche.

RACCONTI AL BIVIO… DI REGGIO CALABRIA

Tanto tempo fa, nell’ antica Rhegium, le due città più importanti erano Atene,
l’attuale Saracinello e Sparta, l’odierna Gallina. Atene era piena di filosofi,
artisti e gente che amava parlare e pensare; Sparta invece era una città di
guerrieri forti e sempre pronti a combattere.
Un giorno, quando la guerra tra loro sembrava vicina, successe qualcosa di
strano: un giovane ragazzo di nome Nicola, figlio di Paolo Moscato e una
bambina di nome Teresa, figlia di Peppe De Nava, si incontrarono per caso
durante una tregua, lungo via Filippini. Invece di litigare, perché rivali,
iniziarono a giocare con una palla fatta di stoffa e foglie; si divertirono così
tanto che gli adulti rimasero a guardali incantati. Il giorno dopo Teresa,
propose un’idea coraggiosa e disse:” Perché non stabiliamo chi è il più forte,
non con la guerra, ma con una partita?”. Gli Ateniesi e gli Spartani si misero a
ridere, ma poi ci pensarono bene e decisero che era meglio giocare e sfidarsi
invece di perdere uomini in battaglia e così organizzarono il “Grande gioco
della pace”: una gara di corsa, tiro con l’arco, giochi di memorie e persino un
concorso di danza. Dopo tre giorni di giochi e sfide, nessuno vinse davvero ma
successe una cosa più belle: Atene e Sparta, tra un gioco e l’altro, diventarono
amiche e costruirono insieme una scuola, dove i bambini delle due città
potevano studiare e allenarsi insieme, fondarono così la “Nosside-Pythagoras
Moscato.
Da quel giorno, ogni anno si celebra la “Giornata del gioco” al posto della
guerra e anche se i libri di storia non ne parlano, c’è chi dice che in un angolo
di Reggio, tra le antiche rovine, si possano ancora vedere i segni di un campo
da gioco, dove la guerra fu fermata da un sorriso.
Ma voi grandi, che state leggendo questo racconto, starete pensando: “Se
questa storia è vera, perché non abbiamo documenti ufficiali?” La verità è che,
tanti anni dopo, un re molto potente, venuto da lontano, che si chiamava
Alessandro, non voleva che le persone sapessero che la pace può vincere la
guerra e aveva bisogno di eserciti forti, non di bambini che giocavano insieme.
Così ordinò che il campo da gioco fosse distrutto e che nessuno parlasse mai
più del “Grande gioco della pace”. Le pergamene furono bruciate e il terreno
dove i bambini correvano e ridevano fu trasformato in un campo militare. Ma
le storie non possono essere cancellate del tutto perché alcuni anziani greci,
tanti anni dopo, raccontavano ai nipoti del giorno in cui Atene e Sparta si
abbracciarono e oggi, ogni volta che due squadre giocano una partita senza
litigare, forse anche senza saperlo, stanno continuando quel gioco nato dall’
amicizia tra Nicola e Teresa, che rappresentano i due quartieri della città non
più rivali: Saracinello e Gallina.

Ma la storia di Reggio non si ferma al bivio Saracinello-Gallina… continua…

Dopo aver unificato l’Italia, il re d’ Italia Vittorio Emanuele III, decise che
occorreva trovare una capitale per il Regno: Torino era troppo fredda e Roma
era governata dal Papa. Aveva già visitato molte città come Bari, Sassari,
Napoli, ma tutte queste, anche se belle, non erano abbastanza per lui. Allora
fece convocare Giuseppe Garibaldi che era stato chiamato da Vittorio a
unificare l’Italia con la spedizione dei Mille. Questo gli disse che, visitando la
penisola il posto più bello che aveva visto era Reggio Calabria sullo stretto di
Messina. Il re non credeva mai a nessuno e verificava sempre, infatti volle
vedere la città con i suoi occhi. Appena la vide se ne innamorò… il lungomare,
i palazzi, gli alberi, i monumenti, gli fecero amare questa città e la scelse
subito come nuova capitale del regno. Allora, fece trasferire la sua corte da
Torino a Reggio e la regina scelse come palazzo reale l’attuale Palazzo della
Prefettura. Lì c’era un salone chiamato “Salone delle principesse dove lei
teneva feste e banchetti aperti anche ai cittadini reggini. Molte informazioni
su queste vicende sono conservate nell’Archivio di Stato di Reggio Calabria:
piano inferiore fila 3, lato destro n°55.

Ma l’affaccio sullo stretto di Messina espose i Reggini ad un nuovo bivio, tra il
prima e il dopo un evento catastrofico…

Era il 28 dicembre del 1908, ore 5.20 di un mattino come tanti, le città dello
stretto, Reggio e Messina furono svegliate da un fortissimo boato e la terra
cominciò a tremare: in solo 37 secondi le due città furono rase al suolo e metà
della popolazione perse la vita. Tutte le vie di comunicazione furono
danneggiate. Il giorno dopo siciliani e calabresi furono soccorsi da navi russe
e britanniche, mentre gli aiuti italiani arrivavano già da un po'. Dopo il
terremoto, le acque si ritirarono e subito dopo tre grandissime onde
distrussero tutto ciò che incontrarono; chi era riuscito a salvarsi dai crolli e
dagli incendi, affogò trascinato al largo dalle onde. In mezzo a questa immane
tragedia, un gruppo di bambini, mentre si trovava sulla nave dei soccorsi,
senza paura e considerandolo una giostra, vide che le onde che ancora non si
erano del tutto calmate, creavano un movimento che li faceva davvero
divertire. Ogni volta che la nave saliva su, i bambini si alzavano in piedi e
quando scendeva giù si sdraiavano per rotolare sul fondo della nave. Uno di
questi bambini però non si rese conto di essere vicino alla ringhiera della nave
e cadde in mare; gli altri senza alcuna paura, crearono una corda umana per
cercare di raggiungerlo. Il primo si legò alla base di ferro così non rischiava di
essere trascinato giù dagli altri e riuscirono insieme a portare in salvo l’amico.
Finalmente si resero conto che non era più il caso di giocare ma di portare
aiuto con la loro collaborazione a tutti i superstiti, bastava anche solo un
sorriso, una mano tesa, un piccolo gesto… e così fecero. Tutt’ora alcuni
superstiti parlano di loro e dei loro piccoli aiuti.

Dalle acque alte e tumultuose dello stretto a quelle calme e limpide…un nuovo
bivio…

Diego Vitrioli scrisse una lettera affettuosa e amorosa all’amica Giuseppina
Rossi di Faenza:
“Cara amica mia, di tutto ciò che mi hai raccontato della tua città non
conoscevo nulla…le tue parole mi hanno lasciato curiosità e stupore e adesso
tocca a me raccontarti qualcosa del posto in cui vivo, in modo particolare
qualcosa di straordinario che avviene in questo periodo, la caccia del
pescespada. La praticavano già dall’antichità, salpando le acque temperate
dello stretto, i pescatori reggini, a seguito di un pesce particolare, il
pescespada. Tutt’oggi questa tradizione continua, su una barca tipica “la
spadara” con la quale il pesce viene prima avvistato dall’albero della feluca,
poi inseguito e infine catturato dal pescatore che sta sul ponte. Chi sta in alto
dà l’allarme a gran voce: “
Passa dabbanna!” Il pesce è sempre più vicino,
temerario e impaurito allo stesso tempo, non sa ancora che alla fine di una
lunga passerella verrà colpito da un arpione e tutto in fondo a lui diverrà buio,
più buio del fondale marino in cui ha vissuto fino ad allora. Solitamente il
pescatore cerca di colpire la femmina perché sa che il maschio non
l’abbandonerebbe mai. Spesso, così, le vittime sono due e questo per certi
versi mi reca male al cuore…ma è la legge della natura.”
Questa lettera si trova nell’Archivio di Reggio Calabria, custodita insieme ad
altre lettere dello stesso autore, indirizzate all’amica e che hanno come tema
altre tradizioni della nostra città.

 

Nuovo bivio nelle acque dello stretto…

E se i bronzi non fossero stati trovati a Riace?
In un piccolo villaggio di pescatoti, dalle acque che sfumano dal verde all’
azzurro, si sentono ancora le voci di una scoperta che ha reso la città famosa
in tutto il mondo. Siamo a Bagnara, un giorno come tanti, durante una battuta
di caccia al pescespada come tante altre. Un pescatore tira la barca sulla
battigia, mesto e triste perché la pesca non aveva dato i frutti sperati e si
avvia lentamente verso l’entroterra di Bagnara sul far della sera. Il buio
copriva i suoi piedi e per fare prima decise di tagliare per i campi che
portavano a Sant’Elia di Bagnara, dove la sua famiglia lo attendeva per cena.
Ma tra l’erba alta dei promontori scoscesi lo prese la stanchezza e decise di
passare lì la notte, riparandosi dentro un anfratto che lo accolse con un
luccichio strano. Si avvicinò lentamente e con un po' di paura tastò nel buio
qualcosa di liscio e di maestoso, la luce della luna gli rivelò una bellissima
statua colorata rappresentante un uomo. Ma a guardare bene gli arti erano
quattro, infatti lì accanto trovò un’altra statua simile alla prima dipinta a
toppe colorate. Li vegliò tutta la notte fino a quando la luce dell’alba gli rivelò
una targhetta che diceva: “Bronzi di Rabarabama”. Il pescatore si innamorò di
queste statue e avvisò subito il vicino museo archeologico di Reggio Calabriache mandò una squadra completa di esperti ad analizzare il ritrovamento. I
Bronzi sono adesso visibili sul lungomare di Reggio Calabria, tra querce
secolari e brezza marina, immortalati dagli scatti dei tanti turisti che
raggiungono la nostra città proprio per la loro fama.

Bivio cittadino tra sacro e profano…

Il quadro della Madonna di Reggio Calabria custodito sulle sue colline a
protezione di tutti gli abitanti, per secoli è stato venerato e portato in
processione; ma un giorno in città sbarcarono i turchi e presi dalla sete di
potere decisero di rubare il quadro…da quel momento si abbatterono sulla
nostra gente peste, terremoti, maremoti, guerre e carestie. Ma le sfortune non
colpirono solo gli abitanti di Reggio ma anche le cittadine limitrofe che
iniziarono ad unirsi nella fede, pregando affinché il quadro ritornasse in mezzo
alla loro gente. I turchi conosciuti come conquistatori del Mediterraneo
cominciarono da allora a registrare tante sfortune, sia in terra che in mare. Si
resero conto così, che le loro sventure iniziarono dopo il cattivo gesto da loro
compiuto e decisero di riportare indietro il quadro di notte, in modo che
nessuno potesse vederli. Da allora sulla città di Reggio ritornò la pace e la
tranquillità. Oggi la Madonna della Consolazione è custodita nell’Eremo e tutti
i fedeli continuano a rivolgersi a lei con devozione e preghiera.