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La grande invenzione
Dietro la “grande invenzione” del teletrasporto attribuita ad un austero scienziato c’è un mistero. Carte ingiallite riemerse per caso dall’Archivio storico dell’Università di Firenze restituiscono un’altra storia intorno alla scoperta “che ha rivoluzionato le nostre vite”.
CREDITI
La grande invenzione
Cl.3B Liceo classico Galileo di Firenze
Dietro la “grande invenzione” del teletrasporto attribuita ad un austero scienziato c’è un mistero. Carte ingiallite riemerse per caso dall’Archivio storico dell’Università di Firenze restituiscono un’altra storia intorno alla scoperta “che ha rivoluzionato le nostre vite”.
Ero solo una bambina quando mio padre, non avendo nessuno a cui potermi lasciare, mi portó con sé. Quando si è bambini e si entra nell’ufficio dove i propri genitori lavorano, questo ci sembra un regno immenso. A me successe la stessa cosa quando, per la prima volta, entrai nell’Archivio Storico di Firenze. Mio padre dopo aver varcato la porta divenne il più potente dei re, mentre io, timida, lo seguivo a passi lenti. La polvere mi aleggiava intorno e l’odore della carta, che adesso per me è inconfondibile, mi pungeva le narici. Mi ricordo ancora che pensai che quell’odore forse riusciva a parlare anche più forte delle parole che erano scritte nei fascicoli.
Fu lo stesso odore che sentii a 22 anni quando vi tornai per il mio primo stage.
Era quello dei registri antichi, delle prime pagine sfogliate e catalogate nel computer. Ogni mattina entravo in punta di piedi, quasi come se l’archivio fosse stato un luogo sacro. Ricordo ancora la prima scrivania che mi venne affidata: un piccolo banco all’angolo della stanza dei computer che aveva giusto lo spazio per il monitor e poco altro. Sebbene inizialmente fossi sola, poco dopo, accanto alla mia, venne posizionata un'altra scrivania. Vi sedette un ragazzo di 27 anni che era stato da poco assunto. Marco era timido ma gentile e quando trovava un nuovo documento lo esaminava con la stessa attenzione con cui io entravo nell’archivio. Dopo poco diventammo amici, insieme imparammo a maneggiare le carte, a distinguere le grafie e a leggere anche le scritte più sbiadite. Ci perdevamo tra le pagine e le date, tra documenti che parlavano di storie dimenticate, frammenti di vita lasciati dalle persone che in quel momento erano proprio nelle nostre mani.
A distanza di dodici anni da quei ricordi, nelle mie c’erano gli scatoloni, in cui avevo dovuto imprigionare tutte quelle carte osservate, studiate e amate per anni. Ne chiusi uno degli ultimi e alzai lo sguardo. Come era stato possibile che tutti quegli scaffali un tempo così vivi fossero diventati vuoti, privi delle loro storie? Quando ci era giunta la notizia che forse l’archivio sarebbe potuto essere chiuso per mancanza di fondi, non ci avevo creduto fino in fondo. Alcuni dicono che ci si accorge che le cose cambiano solo quando i cambiamenti toccano anche noi. Da quel giorno posso affermare che è vero, perché fin quando non ebbi visto solo polvere abitare gli immensi corridoi, non mi resi conto che avrei dovuto dir loro addio. Ritornai con la mente al mio compito e iniziai a organizzare i fascicoli del fisico Xavier Jovic nel fondo archivistico dell’Università di Firenze dedicato ai docenti ordinari. Istintivamente guardai, dall’altra parte della stanza, la piattaforma del teletrasporto. Chissà come si viveva prima della “grande invenzione”, mi chiesi. Era questo il modo in cui Xavier si riferiva al suo macchinario nei documenti che io e Marco avevamo studiato con passione. Li sistemai con massima attenzione: era grazie a lui che le nostre vite erano diventate più semplici. Chiusi anche questo scatolone e andai a prendere l’ultimo. Lo sollevai e sotto notai una busta strana, mai vista prima. Sembrava vecchia, la carta era ingiallita, probabilmente per il lungo periodo trascorso. La presi. Sopra c’era scritto “contenuto confidenziale”, in basso a destra un francobollo, il prezzo era in lire, mi pareva di averlo già visto in qualche documento degli anni ‘60 del Novecento. Cercai di analizzare per qualche altro secondo il documento ma non sembrava esserci nessuna traccia di una precedente archiviazione. Sopra c’era scritto “per Xavier”. La aprii e guardai subito in fondo alla lettera da chi essa fosse stata inviata. La firma era di una certa Margherita Hack. Il nome era per me sconosciuto, quindi chiamai Marco per chiedergli se lui sapesse qualcosa in più. "Forse l’ho sentita nominare qualche volta. Se non sbaglio ha aiutato il dottor Xavier negli anni ‘50. Non so altro." La cercammo nell’archivio e scoprimmo che era stata un’astrofisica nata nel 1922, aveva frequentato il Liceo Classico Galileo a Firenze e si era laureata in Fisica nel 1945 con una tesi riguardante lo studio delle Stelle Cefeidi. Aveva collaborato con il collega Xavier dal 1951 al 1958. A quei tempi fu molto stimata per la sua competenza e per l’impegno anche nell’ambito sociale-politico. Cominciammo così a leggere la lettera. In alto a destra la data segnava 16 maggio 1958. “Caro Xavier” iniziava, “Questa mattina mi sono svegliata con un’orribile notizia. Mio marito Aldo mi ha porto il giornale e in prima pagina ho visto la tua foto mentre stringevi tra le mani degli appunti, i miei appunti. Il titolo era enorme:
La scoperta che rivoluzionerà la nostra vita! Non posso davvero credere che tu l’abbia fatto.” Il mio sguardo si incontrò con quello di Marco, desideroso quanto il mio di scoprire la verità. Era questo il nostro lavoro: ricucire stracci di carta, di storie per ricostruire sempre la verità e quel giorno più che mai ci sentimmo vicini ad essa. “Dopo tutti quegli anni passati a lavorare insieme, in che modo hai potuto, mentre io ti spiegavo la logica della mia grande invenzione, pensare a come il giorno successivo l’avresti divulgata a tutti e rivendicata come tua?” “La grande invenzione...” sussurrò Marco. Portai i miei occhi di nuovo alla piattaforma del teletrasporto: chissà quanti segreti ci aveva celato durante tutti quegli anni. “E adesso cosa dovrei fare? Potrei denunciarti, ma chi mi crederebbe? Come potrei dimostrare che gli appunti sono i miei? Chiunque ci conosca ti ritiene il più geniale tra i due, sei sempre apparso come più intelligente di me e tutti si aspettano da te delle grandi scoperte. Se ti denunciassi nessuno mi crederebbe, di questo ne sono più che convinta. Ma non è questo che mi trattiene dal farlo: l’essere considerata pazza, bugiarda o invidiosa di te non mi preoccupa, so di non esserlo. Proprio per questo, non appena sono venuta a sapere del tuo furto, ho subito deciso di denunciarti, e lo avrei fatto, ma Aldo mi ha portato a riflettere. La mia denuncia non danneggerebbe unicamente la mia reputazione, ma avrebbe influenza sul mio lavoro, sulla mia credibilità e sui miei prossimi progetti. Quindi no, non racconterò ciò che hai fatto e non lo farò per l’amore del mio lavoro, per la passione che coltivo per esso. Passione che ero convinta, fino a poche ore fa, che condividessimo, ma che, adesso, mi sembra tu abbia sostituito con l’egoistica voglia di successo, di fama e di denaro. Nonostante ciò, spero comunque nel tuo buon senso e nella tua fedeltà alla nostra amicizia, se ormai così possiamo definirla. Voglio, difatti, convincermi che ci ripenserai, che cambierai idea in modo che tutto ciò possa essere dimenticato da entrambi. Non pretendo che tu confessi il tuo furto, so che non lo faresti mai, ma spero che acconsentirai, almeno, a descrivere questa invenzione come una nostra collaborazione. Dubito che lo fara,i ma è l’unica speranza a cui posso affidarmi.”
Mi tremavano le mani e mi voltai verso Marco, cercando in lui la mia stessa incredulità. Non la trovai.
“Ma te ci credi?” Mi chiese con fare quasi divertito. “Hai mai sentito parlare di documenti falsi? Chi non vorrebbe rivendicare propria una scoperta come il teletrasporto?”
Dubbiosa, gli risposi: “Cosa ti fa pensare che sia un falso?”
“Cosa ti fa pensare che non lo sia? Nessuno di noi due ha mai studiato filologia, ma ho un amico che potrebbe aiutarci. Se vuoi glielo posso portare." Disse ironico.
Io annuii, lui allora scuotendo la testa, prese sconsolato il documento e, borbottando, usò la piattaforma del teletrasporto. Ero sconvolta, non riuscivo ad accettare che lo scienziato adorato per decenni da tutto il mondo fosse un imbroglione, un ladro. Impazientemente, aspettai un’ora e Marco tornò, con gli occhi spalancati: il documento non era un falso. Ciò era stato confermato, dopo un'attenta analisi, da Stefano Rondinelli, l’amico filologo di Marco.
Ci guardammo per qualche attimo, indecisi sul da farsi: dovevamo far sapere al mondo la verità, ma in che modo?
Decidemmo di denunciare alla polizia ma questi ci dissero che le prove non erano sufficienti per aprire un’indagine. A quel punto facemmo un ultimo tentativo, condividendo la lettera sui social nella speranza di avere un qualche riscontro. Passavano le settimane, intanto l'archivio venne chiuso e piano piano la nostra speranza si spegneva. Anche io e Marco stavamo per arrenderci, quando un giorno ci contattó Eda Gjergo. Era una vecchia allieva di Margherita che, insospettita, era andata a controllare nei vecchi appunti della Hack. Con enorme sorpresa aveva trovato dei vecchi fogli della scienziata che riportavano date precedenti al 1958, quindi alla presunta scoperta del teletrasporto da parte del dottor Xavier, che mostravano la struttura della piattaforma e ne descrivevano il funzionamento. Grazie a questi documenti, la nostra denuncia sarebbe stata finalmente accolta.
Oggi l’archivio è stato riaperto, i corridoi hanno di nuovo quell’odore che mi ha accompagnato per tutta la vita e le storie dei fascicoli sono tornate al loro posto.
All’interno, sopra la mia scrivania, c’è una targhetta che recita: “Qui è stata riconosciuta la paternità della grande invenzione di Margherita Hack, la scienziata che ha rivoluzionato le nostre vite.”